A proposito di Street Art: Blu a Bologna. Riflessioni sulla conservazione.


Facciata XM24 durante la cancellazione dell'opera. L'immagine è stata ricavata dal seguente link: http://www.repstatic.it/content/localirep/img/rep-bologna/2016/03/12/115240877-440a4fc5-5c59-496d-aff9-0dab2f34fd8b.jpg

Lo scorso 18 Marzo ha aperto le porte l’attesissima mostra Street Art – Banksy & Co., presso Palazzo Pepoli in Bologna. L’evento, come sappiamo, non solo ha originato opinioni discordanti tra contrari e favorevoli, ma ha generato la discussa reazione di Blu, uno degli Street Artist più importanti al mondo. Tra la notte del Venerdì 11 e il giorno del Sabato 12 Marzo, tutti i "graffiti" dell’artista, presenti in città, sono stati cancellati da lui e dagli attivisti dei centri sociali Xm24 e Crash. Il web brulica, così, di articoli che demonizzano la mostra in questione. Senza volersi addentrare in giustificazioni di sorta o sodalizi favorevoli, vanno tenuti in considerazione gli aspetti che proveremo ad analizzare. La mostra nasce, infatti, esclusivamente con l’intenzione di aprire ad un dibattito in merito alla conservazione delle pitture murali. Il dibattito si è sicuramente acceso, anche se nessuno avrebbe immaginato una azione così “assoluta” dell’artista. L’articolo vorrebbe allora porre una serie di interrogativi ai quali si dovrebbe dare risposta adeguata. Anzitutto: di chi è la proprietà del graffito? Va subito fatta una distinzione che appare naturale quanto, assolutamente, non scontata. I Writeragiscono in due modi, ovvero apponendo le loro tag o i loro graffiti illegalmente, cioè senza consenso dei proprietari dell’immobile o di qualsiasi superfice “imbrattata”, oppure tramite commissione pubblica, quindi avendo a disposizione uno spazio legalmente dedicatogli. Per la legge, dunque, la proprietà di un muro, come di una porta, di una macchina o di una serranda, appartiene al legittimo proprietario, così come, al proprietario, spetta il mantenimento e la cura. Un graffito fatto illegalmente è un’azione vandalica che lede il cittadino il quale dovrà sostenere, di proprio pugno, le spese di pulitura ed eventuale ritinteggiatura. Certo, se a fare il graffito è Banksy o Blu, allora la questione cambia. Ciò che non cambia è la proprietà (e la legge) che lascia libero il cittadino di agire come meglio crede; può rimuoverlo come coprirlo, può staccarlo e appenderselo in casa, così come è legittimato a rivenderlo. Se il Writer agisce per la strada e accetta le regole della strada non può, o meglio non dovrebbe, avere pretese di sorta. Diverso è il caso di opere realizzate sotto commissione pubblica e su edifici comunali appositamente adibiti. Ma anche in questi casi, soprattutto quando gli artisti sono pagati per realizzarli, la proprietà del graffito dovrebbe rimanere al comune, che è libero di agire per la conservazione delle opere o per la loro rimozione. La mostra ha spinto alla riflessione in merito alla conservazione delle opere, favorendo il dibattito riguardo la loro tutela e manutenzione. Va smentita, anzitutto, la voce circolante in rete riguardo gli stacchi effettuati. Tutte le opere staccate erano state realizzate all’interno o all’esterno di edifici di proprietà privata in via di demolizione, molti dei quali già demoliti. Si è così pensato di preservare e mantenere le opere agendo con l’unico mezzo possibile del caso, ovvero lo stacco delle pitture murali presenti, poiché impossibili da mantenere in loco. Per far questo si è agito nella completa legalità e lo stacco è sempre stato autorizzato dai proprietari degli edifici in via di demolizione. La mostra, inoltre, non presentava solo le opere staccate a Bologna, che erano solo una piccola percentuale, ma un itinerario di opere provenienti da tutto il mondo. In nessun caso si era o si è interessati ad agire per la rivendita o privatizzazione delle opere, le quali saranno destinate alla pubblica proprietà, così come risulta dalle ultime conferenze tenute dagli organizzatori. Ancora, nessuno è (o meglio era, data la distruzione degli altri graffiti presenti in città) intento ad attuare lo stacco di quelle opere realizzate su edifici che ne permettano la libera fruibilità e che non prevedano piani demolitori o di ristrutturazione. Su quanto sia corretto effettuare degli stacchi di opere realizzate volutamente effimere si potrebbe discutere all’infinito, ma è anche vero che, se così non si fosse agito, quelle opere sarebbero oggi distrutte (anche se, in questo caso, sarebbero ancora visibili le altre). Ma, sorge spontaneo domandarsi, è così sbagliato agire per la loro conservazione? Premetto l’assurdità della rimozione delle opere per scopi commerciali e di rivendita, ma quando si agisce per la conservazione e restituzione al pubblico dominio, bisogna avere lo stesso l’autorizzazione dell’artista? Inoltre, se la società riconosce un valore artistico all’opera, la interiorizza e la vive come rappresentazione della propria realtà culturale, è così sbagliato immaginare una conservazione per consegnarla ai posteri e al futuro? Da storico dell’arte mi trovo combattuto: da un lato la Street Art è un fenomeno spontaneo che nasce e muore (o meglio, dovrebbe morire) in strada, dall’altro rispecchia valori, paure e identità appartenenti interamente alla nostra epoca e, dunque, meritevoli di essere salvaguardate. Cesare Brandi nella sua “Teoria del restauro”, opera fondamentale nella definizione del restauro come oggi è comunemente inteso, legittima la conservazione in relazione al giudizio storico che dell’opera si ha. Se è testimonianza del fare e dell’agire umano, allora merita di essere conservata «in vista della sua trasmissione al futuro». È vero, esistono anche le fotografie, ma studiare L’ultima cena di Leonardo o il Giudizio Universale di Michelangelo dal vivo è una cosa, tutt’altra dalle manifestazioni fotografiche, pur dettagliate che siano. Palpare il colore, identificarne il tratto, scovare sinopie ed analizzare bozze e preparazioni, sviscerare le incertezze, scomporre il tratto, etc. etc. etc., sono tutte possibilità che solo l’opera “viva” offre e che permettono di conoscere, a fondo, l’operato di un artista. È giusto, allora, poter immaginare una conservazione preventiva delle opere? Non servirebbe una legislazione che, una volta per tutte, chiarisca come agire riguardo le miriadi di opere che decorano le nostra città? È sbagliato immaginare un futuro per quelle opere che la società riconosce e nelle quali si riflette? Se lo stacco è sbagliato perché snatura l’opera e la consegna ad un ambiente che non le appartiene, allora è giusto immaginare una tutela d’autorità, una qualche disposizione legislativa che obblighi il privato (con rispettivi indennizzi) al mantenimento in loco dell’opera, unicamente per il valore culturale che le appartiene? Bisognerebbe agire e rispondere con chiarezza per evitare in futuro perdite come quelle registrate lo scorso marzo, perché Bologna si è svegliata più povera e più vuota, privata di quelle bellezze che intimamente le appartengono.








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